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Il futuro

Come funziona la musica di David Byrne è un libro molto, molto bello che consiglio vivamente a chi ha una passione per la musica ed è interessato a capirne un po’ di più della sua storia moderna o della sua evoluzione negli ultimi anni. Il testo è così pieno di spunti che ho appiccicato qualche segna pagina nei punti più interessanti (ed è una cosa che non faccio mai).

Riporto qui una parte che si trova verso la fine del libro dal titolo “Il futuro”:

Non ho nulla contro la musica eseguita nei teatri lirici, né contro le opere esposte nei nuovi e spettacolari musei sorti negli ultimi due decenni; anzi, nella maggior parte dei casi le apprezzo. Quell’un per cento della popolazione ha certamente diritto ai suoi templi del buon gusto (dopo tutto sono i loro soldi, e a volte ci invitano alla festa). Mi chiedo però se questi spazi e ciò che rappresentano, insieme ai loro budget, non siano il sintomo di un travisamento delle priorità che in un momento non troppo lontano finirà per ritorcersi contro di noi.

Non sono l’unico a pensare che le future generazioni guarderanno con sconcerto ai nostri budget per le arti. Il taglio dei fondi statali e federali per l’insegnamento della musica, della danza, del teatro e delle arti visive nelle scuole primarie e secondarie avrà profonde conseguenze sul futuro economico e creativo degli Stati Uniti e di altri paesi che stanno seguendo il nostro esempio. In California, il numero di studenti che partecipano a programmi di formazione musicale si è dimezzato tra il 1999 e il 2004. La frequenza alle lezioni di musica, molte delle quali non sono più disponibili, è scesa dell’85 per cento. Stesso destino è toccato alle altre arti, e anche le materie umanistiche hanno subito un calo.

Uno studio compiuto dal Curb Center della Vanderbilt University (Mark Curb è, tra le altre cose, un autore di canzoni e produttore discografico che indusse la MCA a scaricare Frank Zappa e i Velvet Underground, sostenendo che propugnavano l’uso delle droghe!) giunse alla conclusione che gli studenti specializzati in materie artistiche sviluppavano una migliore capacità di risolvere i problemi rispetto a chi si dedicava a quasi ogni altro settore di studio. Correre rischi, affrontare ambiguità, scoprire schemi ricorrenti e utilizzare analogie e metafore sono abilità che non trovano un utilizzo pratico solo per gli artisti e i musicisti. Per esempio, l’ottanta per cento degli studenti d’arte della Vanderbilt afferma che l’espressione della propria creatività è parte dei propri corsi, mentre dice altrettanto solo il tre per cento di chi si specializza in biologia e circa il tredici per cento di chi si dedica all’ingegneria e all’economia. La soluzione creativa dei problemi non viene insegnata in queste altre discipline, pur essendo una capacità essenziale per la sopravvivenza. Se si ritiene, come ritengo io, che la capacità di risolvere creativamente i problemi possa essere appresa, e possa essere applicata in tutti i campi, allora se tagliamo i budget per lo studio delle materie artistiche e umanistiche stiamo tagliando le gambe ai nostri figli: non potranno in alcun modo competere nel mondo in cui stanno crescendo.


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